CONSEGNE: 1). Leggere/comprendere e interpretare i documenti.
2). Selezionare i contenuti e le informazioni.
3). Scrivere, per ogni documento, delle sintesi dei contenuti e delle informazioni o al limite delle parole/concetti-chiave.
4). Confrontare le sintesi, per evidenziare analogie e differenze, e avere così un quadro completo.
TIPOLOGIA B
2. AMBITO SOCIO - ECONOMICO
ARGOMENTO:
Il
viaggio: esperienza dell’altro, formazione interiore, divertimento e
divagazione, in una parola, metafora della vita.
DOCUMENTO 1
«La
felicità, che il lettore lo sappia, ha molte facce. Viaggiare, probabilmente, è
una di queste. Affidi i fiori a chi sappia badarvi, e incominci. O ricominci.
Nessun viaggio è definitivo».
J.
SARAMAGO, Viaggio in Portogallo, Torino, 1999
«Che
cosa non è un viaggio? Per poco che si dia un’estensione figurata a
questo termine – e non ci si è mai trattenuti dal farlo – il viaggio coincide
con la vita, né più né meno: essa è forse altra cosa che un passaggio dalla
nascita alla morte? Lo spostamento nello spazio è il primo segno… Il viaggio
nello spazio simboleggia il passaggio del tempo, lo spostamento fisico, a sua
volta, il cambiamento interiore; tutto è viaggio».
T.
TODOROV, Le morali della storia, Torino, 1995
«Oggi
più che mai vivere significa viaggiare; la condizione spirituale dell' uomo come
viaggiatore, di cui parla la teologia, è anche una situazione concreta per masse
sempre più vaste di persone. Sempre più incerto, nelle vertiginose
trasformazioni del vivere, appare il ritorno - materiale e sentimentale - a se
stessi; l' Ulisse odierno non assomiglia a quello omerico o joyciano, che alla
fine ritorna a casa, bensì piuttosto a quello dantesco che si perde nell'
illimitato».
C.
MAGRIS, Tra i cinesi che sognano Ulisse, CORRIERE DELLA SERA, 12/12/2003
«Il
bambino che amerà viaggiare comincia a sei anni a guardare i mappamondi e le
carte geografiche. Inginocchiato nella sua stanza, indifferente a qualsiasi
richiamo della madre e del padre, segna col dito la strada lunghissima che lo
conduce per mare e per terra da Roma a Pechino, da Mosca a Città del Capo, lungo
gli andirivieni dei continenti e l’azzurro scuro e chiaro degli oceani. Sfoglia
le carte: si innamora del nome di Bogotà o di Valparaiso, immagina di violare
foreste tropicali e deserti, di scalare l’Everest e il Kilimangiàro, come gli
eroi dei suoi libri d’avventura. Così l’infinito del mondo diventa famigliare e
a portata di mano… Il ragazzo impara che, quando viaggiamo, compiamo sempre due
viaggi. Nel primo, il più fantastico, egli legge la guida dell’Austria o della
Svezia o dell’Irlanda: città fiumi, pianure, foreste, opere d’arte, notizie
storiche ed economiche. E studia il viaggio futuro. Nulla è più divertente che
progettarlo: perché il ragazzo muta gli itinerari della guida, stabilisce nuovi
rapporti, insegue luoghi sconosciuti, giunge in Austria dalla Baviera o dalla
Boemia, evita città o regioni che non ama, stabilisce la durata dei percorsi,
distingue mattine, pomeriggi e sere. Le ore sono piene di cose: in una piazza di
Vienna si fermerà, chissà perché, quattro ore. Il tempo viene governato da una
gioiosa pedanteria. Quando inizia il viaggio, il ragazzo si accorge che la
realtà non ha nulla o poco da fare coi suoi progetti fantastici. Il paese che
immaginava giallo è verde: quello che
pensava
rosso è celeste. I due viaggi, quello fantastico e quello reale, quello delle
guide e quello del mondo, ora si accordano, ora si combattono».
P.
CITATI, Le guide delle meraviglie, LA REPUBBLICA, 28/12/2004
«In
definitiva, che modo di viaggiare è questo? Fare un giro per questa città di
Miranda do Douro, questa Cattedrale, questo sacrestano, questo cappello a
cilindro e questa pecora, dopodiché segnare una croce sulla mappa, rimettersi in
marcia e dire, come il barbiere mentre scuote l’asciugamano: «Avanti un altro».
Viaggiare dovrebbe essere tutt’altro, fermarsi più a lungo e girare di meno,
forse si dovrebbe addirittura istituire la professione del viaggiatore, solo per
chi ha tanta vocazione, è di gran lunga in errore chi crede che sarebbe un
lavoro di poca responsabilità, ogni chilometro non vale meno di un anno di vita.
Alle prese con questo filosofare, il viaggiatore finisce per addormentarsi, e
quando al mattino si sveglia, ecco davanti agli occhi la pietra gialla, è il
destino delle pietre, sempre nello stesso posto, a meno che non venga il pittore
e se le porti via nel cuore».
J.
SARAMAGO, Viaggio in Portogallo, Torino, 1999
«Il
viaggiatore aveva un pregiudizio favorevole nei confronti di popoli di contrade
lontane e cercava di descriverli ai suoi compatrioti;… ora l’uomo moderno è
incalzato. Il turista farà quindi, un’altra scelta: le cose, e non più gli
esseri umani, saranno oggetto della sua predilezione: paesaggi, monumenti,
rovine… Il turista è un visitatore frettoloso …non solo perché l’uomo moderno lo
è in generale, ma anche perché la visita fa parte delle sue vacanze e non della
sua vita professionale; i suoi spostamenti all’estero sono limitati entro le sue
ferie retribuite. La rapidità del viaggio costituisce già una ragione della sua
preferenza per l’inanimato rispetto all’animato: la conoscenza dei costumi
umani, diceva Chateaubriand, richiede tempo. Ma c’è un’altra ragione per questa
scelta: l’assenza di incontri con soggetti differenti, è molto riposante, poiché
non mette mai in discussione la nostra identità; è meno pericoloso osservare
cammelli che
uomini».
T.
TODOROV, Noi e gli altri, “L’Esotico”, Torino, 1991,
passim
«Ero a
Volgograd…Ero a Benares…Ero a Ketchum…Ero a Jàsnaja Poljana…Ero a Colonia…Ero
sull’Ortigara… Tutti gli spostamenti fisici, se l’intelligenza vuole e il cuore
lo concede, possono assomigliare a splendidi incroci magnetici. Attraversare lo
spazio eccita il tempo. Sarà per questo che, quando parto, cerco sempre di
trovare, innanzitutto, le ragioni del ritorno? Non erano così i viaggi del
Novecento! Molti di quelli che li compivano avrebbero voluto smarrirsi in un
altrove fantastico capace di garantire, a poco prezzo e senza troppi disagi,
chissà quali clamorose scoperte e fulgide ebbrezze… In classe abbiamo una bella
carta geografica. Molti miei alunni, slavi, arabi, africani e asiatici, possono
considerarsi esperti viaggiatori. Hanno mangiato la polvere dei deserti, il
catrame delle autostrade. Conoscono la vernice scrostata delle sbarre doganali,
i sonni persi con la testa appoggiata al finestrino dell’autobus, i documenti
stropicciati fra le mani… Adesso sono loro a spiegarmi, con pazienza e
lungimiranza, lasciando scorrere il dito sulla mappa, le scalcinate periferie di
Addis Abeba, la foresta pluviale poco distante da Lagos, i mercati galleggianti
di Dacca, gli empori di Herat, le feste di Rabat, gli scantinati di Bucarest. Ed
io compio davvero insieme a loro, senza pagare il biglietto, il giro del mondo
in aula».
E.
AFFINATI, Viaggiare con il cuore, CORRIERE DELLA SERA, 4/2/2005
«Si
vorrebbe sempre essere: essere stati, mai. E ci ripugna di non poter vivere
contemporaneamente in due luoghi, quando e l’uno e l’altro vivono nel nostro
pensiero, anzi nel nostro sistema nervoso: nel nostro corpo… Possiamo infatti
metterci in viaggio. Ma mentre la meta si avvicina e diventa reale, il luogo di
partenza si allontana e sostituisce la meta nell’irrealtà dei ricordi;
guadagnamo una, e perdiamo l’altro. La lontananza è in noi, vera condizione
umana… Laggiù si sognava la patria, come dalla patria si sogna l’estero. Ma il
primo grande viaggio lascia nei giovani, di qualunque levatura e sensibilità, un
dissidio che le abitudini non possono comporre; precisa l’idea degli oceani, dei
porti, dei distacchi; crea quasi, nella mente, una nuova forma, una nuova
categoria: la categoria della lontananza; la considerazione, ormai, di tutte le
terre lontane. È forse un vizio. Chi è stato in Cina vorrebbe provare
l’Argentina, il Transvaal, l’Alaska. Chi è stato al Messico si commuove anche
quando sente parlare dell’India, dell’Australia, della Cina. Questi nomi, una
volta al più colorate e melanconiche geografie, sono ora possibili, reali,
affascinanti. Chi ha provato la lontananza difficilmente ne perde il gusto. Il
primo viaggio, la prima sera che il novo-peregrin
è in cammino,
nasce
la nostalgia, per sempre. Ed è il desiderio di tornare non soltanto in patria;
ma dappertutto: dove si è stati e dove non si è stati. Due grandi direzioni si
alternano: verso casa, verso fuori… Non capisce, forse, non ama il proprio paese
chi non l’ha abbandonato almeno una volta, e credendo fosse per sempre».
M. SOLDATI, America primo amore, “Lontananza”, 1935